La magnolia della piazza verrà eliminata?

La magnolia della piazza verrà eliminata?

La grande magnolia della piazza verrà eliminata?

Molte discussioni stanno suscitando i lavori di riqualificazione della piazza Garibaldi che dovrebbero partire lunedì prossimo. Abbiamo già avuto modo di esprimere tutte le nostre perplessità su alcuni aspetti del progetto, in particolare sulle modifiche della viabilità, ed abbiamo anche avanzato proposte migliorative rimaste inascoltate. Oggi però vogliamo concentrarci sul una questione che può sembrare marginale ma che a non lo è.

Il progetto prevede di piantare 12 alberi nell’area dietro la fontana, dove oggi ci sono la panchina ottagonale e l’aiuola. Nell’aiuola c’è una grande magnolia che verrà eliminata, non sappiamo se tagliata definitivamente o estirpata per essere spostata altrove.

Ci chiediamo perché, dal momento che la magnolia è bella, sana e fa parte da tanti anni della piazza. Non è possibile integrarla con le nuove piante previste? A nostro parere si, come si può osservare dagli schemi che riportiamo in questo post.

Se da un lato non capiamo questa scelta dall’altro pensiamo che con un minimo di impegno e senza spese aggiuntive si possa modificare l’impianto della piantumazione prevista e lasciare la magnolia li dove è, insieme ai nuovi alberi che verranno piantati.

Ci vuole solo un po’ di impegno e sensibilità, e soprattutto bisogna evitare che come primo atto del cantiere venga tagliata o estripata.

Gli sportelli di “Spazio città” chiusi al sabato: una scelta sbagliata

Gli sportelli di “Spazio città” chiusi al sabato: una scelta sbagliata

A partire dal 1 maggio, e per un periodo sperimentale fino al 30 settembre,  cambieranno gli orari di apertura degli uffici comunali, ed in particolare lo “Spazio Città”.  

La modifica più significativa, ed a nostro parere negativa, riguarda  l’eliminazione dell’apertura degli sportelli polivalenti di “Spazio Città” il sabato mattina; lo riteniamo un errore perchè siamo convinti che l’apertura del sabato sia oggettivamente un servizio comodo ed utile per chi durante la settimana lavora e per motivi di orario non riesce a sfruttare nemmeno l’apertura prolungata fino alle 19,00 del giovedì.

Ma soprattutto non capiamo il motivo che ha portato l’Amministrazione Comunale a questa scelta; la delibera con cui la giunta comunale ha avviato questa sperimentazione non spiega bene quali sono i motivi di questo cambiamento e quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Ecco cosa è scritto nella delibera: “questa amministrazione intende proseguire nel processo di innovazione nell’organizzazione del lavoro all’interno dell’Ente, in funzione dell’obiettivo di garantire un continuo miglioramento dei servizi da erogare all’utente. Tale obiettivo può essere perseguito con l’utilizzazione di nuovi modelli organizzativi, anche attraverso una nuova articolazione dell’orario di servizio, nonché attraverso una nuova articolazione dell’orario di apertura degli uffici al pubblico, in un disegno di modernizzazione della macchina amministrativa e di armonizzazione delle modalità e dei tempi di erogazione dei servizi pubblici con il settore privato e a livello europeo;  si pone come obiettivo di implementare le misure di conciliazione vita-lavoro del personale dipendente, che già hanno trovato un’importante applicazione nel lavoro agile attivato nel periodo pandemico e mediante l’estensione dell’istituto della flessibilità oraria attivata in via sperimentale, per una parte dei dipendenti, dal mese di ottobre 2021”

Come si vede la nuova articolazione degli orari di apertura non viene giustificata sulla base di una analisi dell’affluenza agli sportelli in questi anni o su una verifica dell’efficienza e del gradimento da parte dell’utenza dell’utenza. 

E’ vero che si tratta di una sperimentazione, e che la chiusura del sabato è associata all’aggiunta di un secondo pomeriggio di apertura fino alle 19, ma se non ci giustificano i motivi di questa scelta e non si indicano con chiarezza gli obiettivi che si vogliono raggiungere, come si farà alla fine del periodo di sperimentazione a giudicare se avrà avuto un esito positivo o negativo?

Vogliamo ricordare che gli sportelli di “Spazio Città” sono stati aperti nel 2015, con lo scopo  di avere un unico punto di accesso in comune per tutti i servizi, in modo da facilitare il cittadino.

Prima ogni ufficio aveva un suo sportello, con orari di apertura molto ridotti e non coordinati tra di loro; con un enorme lavoro di riorganizzazione del lavoro e di predisposizione di procedure i diversi sportelli sono stati unificati e collocati  nei locali dell’ex tribunale, con  una apertura organizzata su 6 giorni alla settimana, sabato mattina compreso.

Contemporaneamente è stato implementato anche lo sportello virtuale via internet, in modo che si potesse scegliere se recarsi in comune o fare le pratiche da casa attraverso il sito. Nel tempo è stata poi introdotta la possibilità di fare alcuni certificati direttamente on line e scaricarli.

Siamo consapevoli che si debba cercare di far crescere sempre di più l’utilizzo dello sportello on line, pensiamo che non sia possibile eliminare completamente lo sportello fisico, per rispondere anche all’esigenza di quella parte di popolazione che vuole un contatto diretto e non ama usare gli strumenti informatici.

Si tratta inoltre di un servizio che in questi anni è stato sempre molto apprezzato dalla popolazione per l’efficienza e la professionalità.

La scelta purtroppo ormai è stata fatta, sabato prossimo le porte di Spazio Città rimarranno chiuse e se ne riparlerà a settembre.  

Abbassare la velocità su via Vittorio Veneto per la sicurezza dei pedoni

Abbassare la velocità su via Vittorio Veneto per la sicurezza dei pedoni

Abbiamo presentato una mozione in Consiglio Comunale, firmata da tutti i consiglieri di minoranza, con la quale proponiamo di abbassare il limite di velocità  sulla via Vittorio Veneto a 30 km all’ora.

Da quando il 18 settembre 2021 è stata finalmente aperta la tangenziale abbiamo assistito a una diminuzione del traffico veicolare sulla via Vittorio Veneto, anche se in misura inferiore alle aspettative; tale diminuzione ha reso più fluido il traffico di attraversamento, diminuendo code e tempi di percorrenza della via Vittorio Veneto, tanto che oggi possiamo affermare che il traffico si sia suddiviso più o meno in parti uguali tra le due infrastrutture (vecchia strada e nuova tangenziale).

Contemporaneamente però la “fluidificazione” del traffico ha determinato, in particolare nelle ore di punta, un aumento della velocità di percorrenza degli autoveicoli che attraversano la via Vittorio Veneto, con conseguente aumento della pericolosità di incidenti con i pedoni.

Un mese fa circa la scorsa settimana c’è stato un nuovo incidente che ha coinvolto un pedone investito da un’automobile.

Nei casi di incidenti tra pedoni ed automobili la velocità del veicolo è fattore determinante per la gravità dell’impatto e delle conseguenze sui pedoni; diversi studi scientifici hanno evidenziato come la diminuzione della velocità a 30 km/h nelle strade urbane rispetto ai 50 km/h consentiti dal codice della strada determina una drastica riduzione del rischio in caso di investimento di un pedone da parte di un’automobile. In particolare uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità, che lega la velocità di impatto all’investimento di un pedone, evidenzia che l’aumento della velocità delle auto oltre i 30 km/h determina un aumento esponenziale della probabilità di morte;

Inoltre effetti benefici di una diminuzione della velocità si hanno anche per quanto riguarda l’inquinamento sonoro e l’inquinamento atmosferico.

Nei prossimi mesi la via Vittorio Veneto sarà interessata da lavori di riqualificazione grazie  a un contributo che la nostra amministrazione aveva chiesto nel 2020 a Regione Lombardia e che è stato assegnato sulla base di un progetto che tra gli obiettivi prevede anche la diminuzione della velocità e la messa in sicurezza di pedoni e ciclisti.

Con la nostra mozione chiediamo di anticipare i tempi, in attesa dell’esecuzione dei lavori, per la limitazione della velocità e per la messa in sicurezza degli attraversamenti pedonali con l’eliminazione di uno stallo di sosta in corrispondenza degli stessi, che aumenta la visibilità dei pedoni. Si tratta di interventi che possono essere attuati immediatamente, senza costi e che possono servire come disincentivo anche a chi continua ad usare via Vittorio Veneto per attraversare Cassano al posto di utilizzare la tangenziale.

ENERGIE RINNOVABILI: 5 innovazioni italiane

ENERGIE RINNOVABILI: 5 innovazioni italiane

1) L’impianto sardo dove l’energia viene stoccata in una mega batteria di CO2

di Dario D’Elia

Energy Dome ha costruito un impianto dimostrativo in Sardegna che inaugura una nuova strategia di stoccaggio dell’energia a basso costo e zero emissioni

Stoccare energia per impiegarla nei momenti di bisogno è meno affascinante della fusione nucleare, ma è una soluzione pratica al problema immediato degli sprechi. “Io sono un ingegnere energetico da più di 25 anni, ma quando ho immaginato un modo alternativo, a basso costo ed efficiente per stoccare energia ho fatto una sintesi delle tecnologie che conoscevo, più che un’analisi”, ci spiega Claudio Spadacini, ceo di della startup innovativa Energy Dome. Il tema è caldissimo soprattutto se si considerano le attuali tensioni internazionali e le conseguenze sulle forniture energetiche, nonché il problema globale relativo al cambiamento climatico. 

 Lo stoccaggio dell’energia è un concetto di facile comprensione: si tratta di mettere da parte una certa quantità di energia, in una sorta di batteria, per impiegarla in altri momenti. Quindi è una modalità per ridurre sprechi e rendere più efficiente la gestione energetica. Senza contare l’effetto collaterale positivo di contribuire a ridurre le emissioni di CO2. Se non sprechi, consumi meno.

L’interrogativo legittimo è però quello legato al surplus energetico, che apparentemente anche in Italia sembra mancare. Com’è possibile stoccare ciò che non si ha in eccedenza? La risposta è che le eccedenze ci sono eccome e sono gli sprechi da imputare ai “limiti” delle fonti rinnovabili. “Il problema è che sono intermittenti: non sono programmabili e dispacciabili. Gli impianti eolici del sud Italia la sera o la notte vengono esclusi dalla rete perché c’è troppa energia in relazione al fabbisogno; lo stesso vale per gli impianti fotovoltaici nelle ore centrali della giornata. In California hanno persino stabilito un prezzo negativo: se immetti energia nella rete in alcuni momenti sei costretto a pagare”, puntualizza Spadacini.

L’unica via di uscita quindi è di immagazzinare quel surplus energetico e impiegarlo nei momenti in cui c’è richiesta. Attualmente esistono diversi tipi di sistemi: quelli che reagiscono in tempi brevissimi per regolare micro-fluttuazioni e quelli per lo stoccaggio stagionale, che mettono in cascina in estate ed erogano in inverno. I primi si affidano in molti casi a grandi batterie agli ioni litio; i secondi a impianti basati sull’idrogeno. Ovviamente le rispettive criticità sono legate al deperimento degli elementi e alla complessità.

 Energy Dome si propone come terza via, per un energy shifting (uno spostamento energetico) tra le 4 e le 15-24 ore. In pratica ciò che viene prodotto ad esempio in mattinata può essere emesso nel pomeriggio oppure il giorno dopo. È una soglia che non riguarda i limiti tecnici dell’impianto, ma il modello di business e l’efficienza complessiva per garantire una fornitura in accordo alla domanda sulla rete. Una soluzione che ad aprile è valso il primo premio del concorso tecnologico Bloomberg New Energy Finance (BNEF) Pioneers 2022, che identifica le innovazioni di maggior impatto per far avanzare l’economia a basse emissioni di carbonio.

Come funziona l’impianto di Ottana

Nella Barbagia, esattamente poco fuori da Ottana (Nuoro), c’è un paesaggio che ricorda i film di Sergio Leone, ma invece di set cinematografici si alternano stabilimenti industriali, distese di pannelli solari e anche il primo impianto dimostrativo di Energy Dome. “È in fase di avviamento ed è già collegato sia alla rete elettrica sia a fonti fotovoltaiche. Si parla di una potenza di 2,5 megawatt e 4 megawatt/ora di energia stoccata. Completata questa fase di test potremo entrare in quella commerciale. Abbiamo già manifestazioni di interesse da tutto il mondo perché rispetto ad altre soluzioni questa è praticamente pronta”, sottolinea l’ingegnere. Non a caso recentemente è stato firmato un accordo di licenza con Ansaldo Energia per collaborare nella vendita di impianti di stoccaggio di questo tipo nei mercati europeo, mediorientale e africano.

Il funzionamento è abbastanza complesso ma in fondo i concetti chiave hanno a che fare con la meccanica e i principi termici. Si acquista dell’anidride carbonica (CO2) e si stocca in un gasometro a pressione e temperatura ambiente. “In questo dome (un ‘pallone’) comprimiamo l’anidride carbonica e otteniamo calore. Dopodiché raffreddandola fino a temperatura ambiente la condensiamo e la conserviamo sotto forma di CO2 liquida”, spiega Spadacini. “Tutto questo processo avviene grazie all’energia proveniente da impianti rinnovabili. Dopodiché quando vogliamo nuovamente mettere tutto in rete rivaporiamo la CO2 attraverso lo scambio con l’atmosfera, la riscaldiamo e la espandiamo grazie a una turbina che di conseguenza produce energia. Usiamo 100 di energia nella prima fase e siamo in grado di restituire 75 nella seconda, per di più senza emissioni dato che è un sistema totalmente chiuso”.

2) Magaldi Thermal Energy Storage (MGTES)

Basato sulla tecnologia del letto di sabbia fluidizzato, MGTES consente di immagazzinare l’energia in eccesso prodotta da fonti rinnovabili e di dispacciarla su richiesta

Poiché le rinnovabili stanno guadagnando terreno nel sistema energetico attuale, lo sviluppo di sistemi efficienti di accumulo di energia è fondamentale per bilanciare il carattere intermittente delle rinnovabili.
L’accumulo di energia è la chiave per sbloccare il pieno potenziale dell’energia rinnovabile: non solo aiuta a bilanciare la variabilità nella generazione, ma riduce anche la necessità di reimmettere l’elettricità in eccesso nella rete.
Magaldi ha sviluppato il sistema Magaldi Green Thermal Energy Storage (MGTES) per produrre energia termica “verde” – sotto forma di vapore o aria calda – che può essere utilizzata direttamente negli impianti industriali o per la generazione di energia elettrica mediante turbine a vapore. Questo sistema, la cui vita utile prevista supera i 30 anni, ha tutte le carte in regola per svolgere un ruolo cruciale nel processo globale di decarbonizzazione.

Working concept

Progettato per applicazioni di accumulo di energia su larga scala, di breve (<4 ore) e lunga durata (4+ ore fino a giorni e settimane), il sistema MGTES è costituito da moduli isolati che contengono sabbia silicea, riscaldata a temperature superiori a 600°C.
Il processo prevede tre fasi:

  • Fase di carica (charging). L’energia in eccedenza prodotta da fonti rinnovabili viene utilizzata per caricare il sistema. Resistenze elettriche (in caso di energia elettrica), o uno scambiatore di calore integrato (in caso di energia termica), sono immersi nel letto di sabbia fluidizzato. La fluidizzazione delle particelle di sabbia aumenta notevolmente il coefficiente di scambio termico e il tempo di risposta dell’intero sistema.
  • Fase di stoccaggio (storing). Terminato il processo di fluidizzazione, la sabbia si accumula nella parte inferiore del modulo. L’assenza di convezione e la coibentazione della vasca limitano lo scambio termico con l’esterno, minimizzando così le perdite di energia.
  • Fase di scarica (discharging). Il sistema viene scaricato invertendo lo scambiatore di calore integrato all’interno del letto di sabbia fluidizzato. L’energia immagazzinata viene rilasciata sotto forma di vapore surriscaldato. Per generare elettricità, MGTES può essere utilizzato in combinazione con un gruppo di potenza.

Principali caratteristiche 

Il sistema MGTES si distingue per:

  • Sostenibilità. É costituito principalmente da sabbia silicea e acciaio, rappresentando quindi una soluzione ecologica, che non contiene né produce inquinanti.
  • Flessibilità. MGTES offre grande flessibilità al sistema di generazione dell’energia (rete elettrica, centrali termoelettriche, impianti industriali, rinnovabili) in cui è integrato, disaccoppiando la produzione di energia dai consumi.
  • Efficienza. Le perdite termiche sono drasticamente ridotte a quantità trascurabili (tipicamente <2% ogni 24 ore) e l’energia termica può essere immagazzinata per diversi giorni. È stato dimostrato che, nel caso di un’applicazione thermal-to-thermal, la Round-Trip Efficiency (RTE) è maggiore del 90%.

Principali applicazioni

MGTES può essere utilizzato per:

  • Applicazioni Power-to-Power. Il sistema è progettato per assorbire energia elettrica dalla rete o da impianti da energie rinnovabili. L’energia in ingresso viene immagazzinata come energia termica e utilizzata, successivamente, per produrre vapore per l’azionamento di un gruppo di potenza che converte l’energia termica immagazzinata in elettricità.
    Il gruppo di potenza può essere recuperato dagli impianti termoelettrici in fase di decommissioning.
  • Produzione di calore verde h24, 7 giorni su 7. MGTES può essere utilizzato per sostituire i combustibili fossili nei processi industriali con temperature da 120° a 400°C (es. industria della carta, food & beverage, prodotti chimici, plastica, ecc.).
  • Centrali termoelettriche. MGTES può essere integrato nel generatore di vapore all’interno di centrali termoelettriche esistenti per ridurre il carico minimo e offrire una potenza termica di backup da utilizzare quando necessario.

I sistemi di accumulo di energia termica sono essenziali per raggiungere economie a zero emissioni nette in quanto consentono a una serie di settori – tra cui cellulosa e carta, alimentare, tessile e chimico – di effettuare la transizione dai combustibili fossili a una generazione di energia termica verde competitiva e affidabile.

MGTES aiuta a raggiungere la decarbonizzazione dei processi industriali e dei sistemi energetici sulla strada dello sviluppo sostenibile.

Tecnologia MGTES

MGTES è un sistema brevettato e innovativo ad alta temperatura per l’accumulo di energia termica, basato su un letto di sabbia fluidizzata. Una volta caricato con energia elettrica rinnovabile, il sistema è in grado di immagazzinare energia pulita per ore, giorni o addirittura settimane per rilasciare energia termica ad alta temperatura 24 ore su 24, 7 giorni su 7, su richiesta, in modo continuo o meno.

MGTES, la tua batteria di sabbia Made in Italy

MGTES utilizza particelle di sabbia silicea solida fluidificabile, stabili fino a oltre 1000 ° C, come materiale di stoccaggio. Il sistema di fluidizzazione è un componente cruciale per massimizzare il trasferimento di energia termica durante la carica e la scarica del MGTES. Quando il sistema funziona nelle modalità di carica e scarica, l’aria viene forzata attraverso il letto di sabbia, che diventa fluido, con il risultato di migliorare significativamente il meccanismo di trasferimento del calore e la diffusività interna.

Il sistema MGTES opera in tre fasi:

Accusa: Il letto di particelle solide può essere riscaldato utilizzando riscaldatori elettrici o fluido ad alta temperatura. In questa fase, il letto fluido è attivo per migliorare il trasferimento di calore.

Immagazzinamento: La fluidizzazione viene disattivata e gli impacchi di sabbia sul fondo del modulo consentono di immagazzinare l’energia assorbita per giorni o addirittura settimane. Le perdite di energia sono ridotte al minimo a causa della mancanza di convezione e dell’isolamento del serbatoio, che limita lo scambio di calore con l’esterno dell’involucro.

Scarica: Lo scambiatore di calore integrato incorporato nel letto fluidizzato di particelle di sabbia viene invertito per scaricare il sistema. Attivando il letto fluido, l’energia accumulata viene rilasciata per mezzo di scambiatori di calore all’interno del letto, al fluido termovettore tipicamente vapore surriscaldato (fino a 600 °C) o ad altri fluidi ad alta temperatura richiesti dai processi industriali (come l’aria calda).

Modular technology

The modular design of the MGTES technology offers significant flexibility to suit the demands of the  customers in terms of process temperatures, storage times, and demand patterns. By selecting the mass of solid particles contained in each module, thermal storage capacity of a single module can be configured over a wide range starting from 5 MWh to 100 MWh

Decarbonizzazione dei processi industriali ad alta temperatura

MGTES rappresenta il ponte tra il settore energetico e quello industriale, responsabile della maggior parte delle emissioni di gas serra. Il 74% della domanda di energia dell’industria viene utilizzata per il calore di processo. MGTES produce vapore surriscaldato verde (o altro fluido ad alta temperatura) per una vasta gamma di applicazioni industriali: alimenti e bevande, cellulosa e carta, chimica, desalinizzazione

3) Rinnovabili e idrogeno, a Trento si progetta la batteria senza materiali rari

di Jaime D’Alessandro

Green Energy Storage impegnata con la Fondazione Bruno Kessler nell’innovazione nel campo degli accumulatori. Il presidente Pinto: “Apriremo fabbriche del tutto sostenibili anche in Australia, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti”. E dall’Europa arrivano 53 milioni di euro

Per quel che hanno in mente di fare, 53 milioni di euro sono appena sufficienti a muovere i primi passi. La Green Energy Storage (Ges) di Trento ha infatti piani bellicosi: diventare un centro di gravità permanente a livello mondiale nel campo delle batterie di accumulo, quelle adoperate fra le altre cose nel fotovoltaico ed eolico per conservare l’energia prodotta. Intende farlo producendo dispositivi privi di metalli rari come litio, nichel o bromo liberandosi così dalla loro dipendenza. Di qui i fondi della Commissione europea, parte di quelli destinati a finanziare le tecnologie che un domani potrebbero consentire di non essere vittime di ricatti da parte di chi controlla le materie prime in Paesi esterni all’Unione. “Progetti importanti per il comune interesse europeo” li chiamano a Bruxelles, o se preferite “Important projects of common european interest (Ipcei)”, che hanno una sottosezione intitolata “European Battery Innovation“.

“Quello che stiamo mettendo a punto sono batterie fisse che usano l’energia, delle rinnovabili ad esempio, trasformandola in idrogeno. Il quale poi quando occorre si può riconvertire in energia”, racconta Salvatore Pinto, il presidente di Green Energy Storage. “Il bello sta nel fatto che lo facciamo senza la necessità di quei metalli estratti in giro per il mondo che spesso creano danni all’ambiente e che sono in mano o ricadono nella sfera di influenza di altre potenze”. Originario di Napoli, 65 anni, Pinto ha alle spalle un curriculum corposo. Fra le altre cariche ha avuto quella di amministratore delegato di Telespazio, è stato fra i manager di punta della Olivetti negli anni Novanta, e oggi dirige la filiale italiana della svizzera Axpo, ex Egl, fornitrice di gas ed elettricità. Al suo fianco in questa avventura c’è la Fondazione Bruno Kessler guidata da Francesco Profumo, che fornisce a Ges i laboratori per lo sviluppo della nuova batteria.

“La sfida posta dai progetti europei Ipeci”, ha dichiarato Profumo, “si inserisce nel posizionamento strategico europeo, per prendere uno spazio manifatturiero nuovo in temi che la Commissione riconosce di importanza strategica. È una sfida epocale in un mondo in competizione, per le risorse, per le tecnologie, per i mercati. È un’opportunità che ricade sui singoli attori e sui singoli territori. A supporto metteremo a disposizione le nostre migliori risorse e le nostre più avanzate infrastrutture di laboratorio”.

Alla Ges sono partiti sette anni fa da un brevetto messo a punto alla Harvard University e via via hanno perfezionato la tecnologia arrivando ad una formula chimica proprietaria che, grazie all’impiego di membrane ed elettrodi sviluppati appositamente, opera la trasformazione della corrente in idrogeno e viceversa. Il mercato di riferimento delle batterie stazionarie, quindi ad esclusione di quelle al litio per smartphone e veicoli elettrici, è stato valutato in 400 miliardi di dollari dalla multinazionale delle consulenze McKinsey. Bloomberg si è spinta oltre: 662 miliardi entro il 2040. Previsioni tutte da verificare, così come le capacità reali delle batterie Ges. I primi prototipi sono attesi per la fine del 2023, la produzione sperimentale invece per l’inizio del 2024.

“Le fabbriche, abbiamo intenzione di aprirne in Australia, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, saranno del tutto sostenibili dal punto di vista ambientale”, prosegue Pinto. “La parte chimica viene infatti aggiunta sul posto una volta installata la batteria e i materiali che impieghiamo sono completamente riciclabili”. Si parla di una capacità che andrà dai 10 kilowatt ai megawatt con un’efficienza pari a quella delle batterie al litio e costi che dovrebbero essere sensibilmente minori.

4) La batteria allo zolfo che risolve il problema dell’accumumulo di energia da fonti rinnovabili

di Vittorio Emanuele Orlando

Il Premio nazionale dell’innovazione nel 2021 è stato vinto da Sinergy Flow, una startup fondata da tre giovani: Alessandra Accogli, Gabriele Panzeri, Mattia Salerno

È mattina presto quando incontro Alessandra e i suoi due soci: è in partenza per Roma, per un progetto sulla sensibilizzazione delle donne nelle materie Stem. Difficile trovare una testimonial più adatta: 31enne salentina, Alessandra Accogli è arrivata a Milano per laurearsi al Politecnico in ingegneria dei materiali e nanotecnologie, ha effettuato il dottorato di ricerca tra Milano e il Mit, da cui è tornata, causa pandemia, per fondare Sinergy Flow insieme a Gabriele Panzeri, pari età nato sulle sponde dell’Adda (cto), e al milanese Matteo Salerno (coo). L’azienda, di cui Alessandra è ceo, si chiama come il loro prodotto e ha vinto nel 2021 il Premio nazionale innovazione dell’Associazione italiana degli incubatori universitari e delle Business Plan Competition – PNICube, “ma anche, nel 2020, lo “Switch2Product” del Politecnico, che ci ha permesso di passare dalla R&D del Politecnico”, precisa la ceo.

In questi laboratori è nata Sinergy Flow, “una batteria a celle di flusso composta da due parti. La prima, detta ‘stack’ è l’hardware, la batteria vera e propria. Due serbatoi esterni pompano una soluzione elettrochimicamente attiva [loro la chiamano “la chimica” nda]  nell’hardware. Quindi dimensionando l’hardware possiamo definire la potenza, mentre dimensionando i serbatoi definiamo l’energia che può essere accumulata”, spiega Gabriele. Mentre infatti nelle batterie al litio dei nostri smartphone il rapporto potenza/energia è fisso, la tecnologia a celle di flusso è modulare, scalabile. “Adatta ad applicazioni in cui è necessario uno stoccaggio nell’ordine delle decine o centinaia di megawattora, a supporto dei grandi parchi eolici e solari”, continua il giovane cto.

In sostanza, Sinergy Flow si candida a rompere, finalmente, il collo di bottiglia delle rinnovabili: la produzione intermittente e la difficoltà di stoccare l’energia quando c’è per immetterla in rete quando serve. C’è un problema, però: al momento le batterie al litio possono essere usate per due, massimo quattro ore e quelle a celle di flusso hanno un limite di 10 ore. Mentre per avere una rete in grado di funzionare H24, 7 giorni su 7 serve una capacità di almeno 20 ore. Ed è qui che arriva Sinergy Flow: “Possiamo aumentare facilmente la capacità di accumulare e restituire energia, semplicemente usando più stack e aumentando il volume dei serbatoi. E stiamo lavorando nell’intervallo tra 20 e 50 ore”, spiega Gabriele. “È un cambio di paradigma – interviene Alessandra – superare questa barriera, dovuta a fattori economici e tecnici, permetterebbe di raggiungere gli obiettivi di abbattimento di CO2 che ci siamo posti per il 2030 e il 2050″.

Il segreto di Sinergy Flow è “la chimica”, scoperta da Alessandra. “Fin da subito la mia idea è stata produrre una batteria che usasse materiali abbondanti e sostenibili. Alla fine mi sono imbattuta nello zolfo: è disponibile ovunque a basso costo, come sottoprodotto di varie lavorazioni industriali, a partire dalla raffinazione di petrolio e gas”. “Sinergy Flow costa tra i 30 e i 150 $/kWh: il costo diminuisce quanto più aumenta la durata di accumulo, perché quello che cresce sono i serbatoi, cioè lo zolfo che fa da elettrolita, non l’hardware, più caro”. Le batterie concorrenti, al vanadio, costano 500-600 $/kWh. Il vanadio è raro, quindi caro, e geolocalizzato, soprattutto in Cina. “Invece lo zolfo – spiega Alessandra – è “democratico”: è ovunque ed è economico, un bel vantaggio per accorciare la supply chain quando inizierà, si spera, la produzione in volumi. E poi aiuta a combattere gli oligopoli geopolitici e favorisce l’indipendenza energetica delle comunità. Vediamo oggi quanto siamo dipendenti dalla Russia…”.

Ma allora perché non c’è la coda di investitori alla porta delle vostra sede? “Forse perché fino all’11 aprile    – sorride Alessandra – non avevamo una sede legale. In realtà stiamo parlando con diversi fondi di investimento, ma prima di aprire la  campagna, vogliamo definire alcuni dettagli sulla licenza del brevetto e la proprietà intellettuale. Ci siamo quasi: il round di finanziamento dovrebbe chiudersi entro l’estate. Vogliamo creare un modulo progettato e prodotto interamente da noi, con materiali a basso costo e riciclabili, una visione di economia circolare a cui teniamo molto; questo richiede capitali nell’ordine di 1,5 milioni di euro”.

Prima di partire, Alessandra torna sulla questione donne e Stem. “Sono ancora troppo poche le donne nel deep tech e mentre studiavo di problemi ne ho avuti. Invece l’ambiente con cui ci stiamo interfacciando ora è molto meritocratico, la competenza non ha sesso. Certo, mi aiuta il fatto di essere imprenditrice, fossi in un ambito più gerarchico non so se tutto filerebbe così liscio. C’è ancora tanto da fare”.

5) La frontiera dell’energia solare che si produce tramite i batteri

di Dario D’Elia

Al politecnico di Losanna il gruppo di ricerca della professoressa Boghossian sta studiando una sorta di sistema fotovoltaico vivente. “Questi pannelli sono vivi, non serve una fabbrica e assorbono automaticamente CO2″

Il fotovoltaico vivente è più vicino di quanto si creda. Infatti a Losanna stanno studiando i pannelli solari che sfruttano i batteri per generare energia, in pratica sfruttando le proprietà di fotosintesi emancipandoci dall’impiego di silicio e altri materiali.  “Possiamo ipotizzare una decina di anni per i primi pannelli solari, ma il progetto che stiamo portando avanti alla Scuola politecnica federale di Losanna (Epfl) è più di un primo passo”, ci spiega Melania Reggente, ricercatrice post-dottorato del gruppo della professoressa Ardemis Boghossian della School of Basic Sciences dell’ateneo. “Parliamo di cianobatteri facilmente reperibili in natura – anche in uno stagno – che si nutrono di inquinanti, a base di azoto e fosforo, normalmente presenti nell’aria. Per di più con la capacità di autoriprodursi. E poi a seconda delle condizioni ambientali possiamo selezionare i più idonei”, puntualizza Alessandra Antonucci, ex dottoranda del progetto, oggi in forza in una società italiana specializzata in proprietà industriale. La vera svolta comunque si concretizzerebbe nell’impronta di carbonio, perché come ha ricordato Boghossian: “Per produrre la maggior parte del fotovoltaico standard viene rilasciata molta CO2“, mentre la fotosintesi non solo sfrutta l’energia solare ma assorbe CO2. “Questi pannelli solari sono vivi, non hai bisogno di una fabbrica per costruire ogni singola cellula batterica; questi batteri sono autoreplicanti. Assorbono automaticamente CO2 per produrre di più. Questo è il sogno di ogni scienziato dei materiali”.

 Da cianobatterio a cyborg-batterio

I cianobatteri applicano naturalmente la fotosintesi, quindi convertono parte della luce solare in elettroni che trasferiscono all’esterno della parete cellulare. Indossando un visore rubato alla letteratura sci-fi si potrebbe assistere a una sorta di diaspora di elettroni. Il problema è che fissando un ipotetico traguardo esterno il numero di medagliati sarebbe molto basso. Con una soglia di inefficienza così alta si generebbe insomma poca energia. La soluzione è nei nanotubi di carbonio, ovvero un foglio di grafite arrotolato su stesso come una sorta di garganello romagnolo lungo qualche centinaio di nanometri. Una delle sue peculiarità è proprio la fluorescenza, quindi la capacità di assorbire radiazioni nel visibile ed emetterle nel vicino infrarosso.

Il team della professoressa Boghossian ha pensato quindi di valutare se l’interazione tra i cianobatteri e i nanotubi di carbonio potesse avere un impatto sull’efficienza del trasferimento elettronico extracellulare. E così i nanotubi sono stati internalizzati nei batteri ma non senza difficoltà perché le pareti dei cianobatteri sono difficilmente penetrabili senza compromettere l’integrità della struttura cellulare. “Abbiamo decorato i nanotubi di carbonio con molecole affini alla membrana esterna. Chiamiamola attrazione fatale, perché il risultato è che il nanotubo viene accolto e diventa parte integrante del cianobatterio, incrementando l’efficienza del trasferimento di elettroni senza effetti collaterali sul resto”, spiega Antonucci. La sfida nella sfida, come riconosce Reggente e si può comprendere dallo studio pubblicato su Nature, è implementare un’interfaccia adeguata che consenta ai batteri con nanotubi di stabilire una connessione con elettrodi. “Ciò permetterebbe un miglioramento dell’efficienza poiché favorirebbe la creazione di canali preferenziali per il trasporto degli elettroni. Questo è uno degli obiettivi sul quale si concentra la nostra ricerca di base nell’ottica dello sviluppo di un vero e proprio prodotto”, sottolinea la ricercatrice.

 Come potrebbe essere un pannello fotovoltaico vivente

“Si potrebbe ipotizzare un pannello costituito da celle a stato solido che inglobano batteri”, suggerisce Reggente. “Ovviamente dovrebbero essere ambienti protetti, capaci di garantire la vitalità di questi organismi, ad esempio idrogel umidi”. Insomma i pannelli di domani dovrebbero svolgere contemporaneamente due compiti: proteggere e assicurare la vitalità ai batteri. Un po’ come è avvenuto in laboratorio dove i batteri selezionati hanno dimostrato di poter sopportare bene il ciclo giorno e notte, nonché l’escursione termica di un clima temperato. “Noi ci siamo concentrati su due ceppi molto diffusi nel mondo, ma sulla selezione ovviamente si può ancora lavorare. Abbiamo comunque già ottenuto un ottimo risultato in termini di stabilità con 5 ore di attività, rispetto a quella che potrebbe offrire un fotovoltaico biologico basato su enzimi isolati”, aggiunge Antonucci. C’è però ancora un aspetto affascinante da esplorare. “Abbiamo scoperto che i batteri mantengono la capacità di replicarsi e anche di trasferire i nanotubi di carbonio alle cellule figlie. Vuol dire che quel nuovo potere può essere trasferito alla generazione successiva, sebbene ciò possa risultare in una degradazione nell’efficienza”, conclude Reggente.

Applicazione biomedica Questo metodo si presta anche ad altre applicazioni: su tutte il bio-imaging, ovvero la possibilità di ottenere immagini dirette o indirette di cellule oppure organi del corpo umano o animale. In tal senso la fluorescenza del nanotubo è nettamente distinguibile da quella naturale e quindi si può fare in modo che quella sorta di decorazione di molecole – che favorisce l’acquisizione da parte delle cellule – sia personalizzata con bio-sensori capaci di rilevare magari variazioni del glucosio o altri composti organici presenti nel corpo umano. In pratica un po’ come avere un led che si accende in presenza di alcuni componenti.

TELERISCALDAMENTO: QUANTO AUMENTERÀ ANCORA?

Il costo del teleriscaldamento ha subìto negli ultimi due anni un incremento dell’86,32% (vedi tabella) dovuto essenzialmente all’aumento del prezzo del metano.

L’articolo 14 del regolamento integrativo al servizio di Teleriscaldamento nel comune di Cassano stabilisce: “Qualora la situazione documentale dei prezzi… mettesse in evidenza una perdita di competitività dei prezzi del calore da teleriscaldamento… AEM (ora A2A) si impegna a ridefinire il prezzo del calore in accordo con il Comune di Cassano d’Adda”.

Tra breve inizierà la nuova stagione termica e il prezzo del TLR potrebbe subire ulteriori aumenti, dal momento che, per un’assurda normativa riconosciuta da ARERA, cioè l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, il prezzo del teleriscaldamento, come del resto quello dell’energia elettrica, viene aggiornato in base alle variazioni delle quotazioni del gas metano al mercato di Amsterdam, indipendentemente dal costo pagato dalle aziende distributrici che, in genere, hanno stipulato contratti pluriennali per i quali pagano cifre estremamente ridotte.

Sarebbe quindi importante legare i prezzi energetici non alla variazione dei prezzi di mercato ma ai costi effettivamente sostenuti dai produttori, considerando anche i costi molto competitivi dell’energia da fonti rinnovabili.

Ci pare quindi fondamentale (con riferimento al regolamento sopra citato) che l’Amministrazione Comunale si impegni a definire un accordo con A2A sul futuro prezzo del teleriscaldamento, in base ai costi effettivamente sostenuti da A2A per l’acquisto del metano e non in base alle quotazioni di Amsterdam.

Chiediamo al Sindaco (che ha nominato le varie commissioni di controllo, escludendo di proposito e antidemocraticamente i membri delle maggiori forze di opposizione) se si sia reso conto di questa potenziale opportunità e se abbia quindi provveduto a convocare la commissione A2A per individuare un accordo prima dell’inizio della stagione termica.

Incremento percentuale dal 2020 ad oggi: 86,32%

Andrea Passera